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Un altro lungo viaggio. Credo non ne farò più. Guidare mi mette in una predisposizione d’animo poco adatta al tipo di evento a cui vado incontro.
250 chilometri per ritrovarmi in riva a quel lago che conosco così bene, per incontrarti in quel parcheggio che conosco così bene. In quel borgo che mi ha visto così tante volte camminare distratto. Sono arrivato in anticipo, non mi piacere far aspettare, la puntualità non è un dettaglio e la dinamica è diversa dal solito. L’ispirazione ha portato ad un evento che si potrebbe dire straordinario, si potrebbe quasi parlare di un appuntamento vis-à-vis. Mi sembra di aver intuito dalle tue parole, che non sei un’amante improvvisata, sembra dalle tue parole che tu stia cercando qualcosa che va oltre, e io sono arrivato lì per questo. Riconoscersi non sarebbe stato un problema, ci eravamo già guardati negli occhi più di una volta, anche se a distanza, e a quest’ora di notte passa solo qualche macchina lungo la via principale. Seduto su quella panchina, con la macchina alle spalle, e il lago di fronte, mi stupisco di come l’irrequietudine che accompagna questo genere di attesa continui ad essere sempre così forte. Non mi abituerò mai, e questa luna che si specchia nell’acqua aumenta la mia fame di te. Stanotte non so chi sarà il lupo tra i due. Sento una macchina arrivare e vedo la luce dei suoi fanali puntarmi con decisione, so già che sei tu, sentire il motore spegnersi e la portiera aprirsi è la conferma definitiva. Ho deciso che continuerò a dare le spalle al parcheggio, ho deciso di vedere cosa intendi fare, come pensi di muoverti, cos’hai da propormi. Sento i tuoi passi, certamente tacchi, sento il tuo profumo, sento che ti sei fermata e non hai intenzione di avvicinarti. Rimaniamo così qualche secondo, sembra un’eternità, ma non si può trattare di stallo, vogliamo tutti e due la stessa cosa, si tratta solo di capire quale sarà l’evoluzione. Mi alzo, e solo successivamente mi giro. Ora ti ho davanti, straordinaria visione, di grande potenza. Appoggiata al muso della tua macchina, avvolta in un elegante vestito da sera, mi rivolgi un “ciao” che sembra più una sfida che un saluto. Ti manca solo la sigaretta con un lungo cannello e non avresti niente da invidiare ad una icona sexy anni 20. Sono sinceramente colpito, ma non credo che questa spavalderia potrà essere sostenuta troppo a lungo, sento già i pantaloni essere un fastidioso impedimento, e questo tu non puoi saperlo. Mi avvicino lento, perché non c’è ragione di correre, la distanza che ci divide è molto, molto breve. E poi ancora la tua voce, appoggiando un piede al parafango: “hai fatto buon viaggio?” E io: “te lo dirò quando sarà finito”, prendendoti il viso fra le mani e portando la tua bocca alla mia. Un lungo e profondo bacio che mi consente di avvicinarmi ulteriormente e di aderire al tuo corpo. Una delle mie mani non resiste alla tentazione di scivolare sotto la tua gonna facendomi comprendere che mi desideri almeno, quanto io desidero te, e scatenando la mia voglia di assaporarti. Mi abbasso, seguendo con le mani il profilo delle tue braccia, e infine, intrecciando le mie dita alle tue. Una presa solida che mi trasmette ogni tuo fremito da sotto quella gonna che trattiene tutto il calore del tuo corpo teso e vibrante, rimango lì a gustarti finche non sento che il piacere a raggiunto il suo culmine. Uscito da sotto la gonna il tuo viso non è più quello di prima, e non è spavalderia che trasmette. Tremula mi abbassi i pantaloni cercando di avvicinare la tua bocca al mio ventre, ma sono io che conduco, e ti rialzo mettendoti a sedere su quel cofano e entrando dentro di te quasi allo stesso tempo. Ti guardo. Ti guardo negli occhi, mentre gli ammortizzatori della macchina danno il loro contributo per evitare eventuali ammaccature. Ti desidero. Ti desidero così tanto che sento potrei passarti da parte a parte, ti desidero così tanto, che se la mia mente non fosse appannata dalla sensazione della tua calda accoglienza, mi preoccuperei per la tua macchina. E ora sento che anche io sto per raggiungere il piacere, tu lo senti immediatamente, le tua mani sulle mie rigide natiche anno percepito il tremore incalzante delle mie gambe e così mi allontani, e abbassandoti, lasciando esposto il petto alla fresca brezza notturna, mi dici di volermi su di te. Ti prendo la mano e l’accompagno su di me, lasciando che sia tu a procurarmi l’orgasmo e che sia tu ad indirizzarlo. Ti sollevo e ti bacio ancora, e ancora e ti dico che: “si, ho fatto un ottimo viaggio, l’ho fatto dentro di te”. E ora, splendida rosa camuna lasciami andare, voglio viaggiare ebbro del tuo sapore e del tuo profumo. Domani è domenica, non mi pensare. ![]()
Ti sei avvicinata per noia, hai detto.
I miei “pensieri” non ti interessavano e hai cliccato su “storie”, volevi vedere cosa avevo da raccontare. Ti sei tolta la curiosità, e dopo aver letto hai dovuto toglierti anche la voglia. Sei stata generosa, troppo. Hai voluto farmelo sapere, e poi, altrettanto generosamente e con dovizia di particolari mi hai parlato della tua sedia. Non si da mai abbastanza importanza alla sedia. Quella sedia dove allarghi le gambe quando la voglia si fa troppa, quella sedia su cui sobbalzi e fremi, quella sedia che è l’unica cosa a tenerti ancorata alla realtà, mentre immagini quello che sarebbe potuto essere. Mi hai detto che devi sempre spostarti un po' in avanti mentre con il ventre assecondi il ritmo delle mani. Io penso che dovresti spostarti in modo diverso, probabilmente su quella sedia dovrei essere seduto io. Così tu potresti accomodarti sopra di me, sentendo distintamente il mio corpo che scivola dentro al tuo. Ti tratterrei certamente per qualche istante per farti sentire a che punto siamo arrivati, prima di cominciare a sollevare e abbassare il tuo corpo controllandoti per i fianchi. Sempre più veloce. Sempre più forte. La sedia sarebbe l'ultimo dei tuoi pensieri, mentre tutti i tuoi sensi si rincorrerebbero nel tentativo di esplodere in ondate di piacere, mentre le mie mani cercano nuovi appigli sul tuo corpo. E ora dimmi: dove c’è una sedia, con ogni probabilità c’è una scrivania? Ci vorrebbe davvero poco per sollevarti e spingerti su quella scrivania, ci vorrebbe davvero poco a tenere il tuo torace aderente a quel tavolo con una mano, in modo da avere le tue natiche in primo piano dove affondare nuovamente. Stretta tra la scrivania e il mio corpo. Piena di me. Non ti lascerei tregua questo è certo. Ed è certo che quella sedia vorrei essere io. Vorrei essere io a tenerti strettamente ancorata alla realtà, a tenerti strettamente ancorata a me. Vorrei essere io a sentire il tuo sapore e vorrei che tu sentissi il mio. Ma questa è un’altra storia. Come finisce lo decidi tu. Ti immagino in un paesino a cavallo tra grande città e campagna…
Ti immagino mentre durante il giorno, nei momenti liberi, pensi a me… …a quella parte di me. Ti immagino annoiata, mentre la notte cerchi il conforto dei tuoi fremiti, del tuo calore. Non dovresti smettere mai di cercalo. Ti immagino disinibita e difficile da placare nel momento del piacere. Immagino il tuo fiore che si prepara a trasmetterti quelle sensazioni di cui non sai fare a meno. Immagino il tuo piacere scendere copioso dalle gambe, ne immagino il sapore. Immagino come saprei concentrarmi nei punti giusti durante i miei percorsi con la lingua…. La sola idea rende la mia fantasia solida realtà, dura realtà, sarei pronto anche adesso a sondarti, ad entrare dentro di te fisicamente… stringendoti i seni. Ascoltando il tuo respiro e il tuo battito cardiaco, mentre i miei affondi si fanno sempre più intensi. La mia mano è un magro conforto pensando a cosa potrebbe attendermi tra le tue gambe. Mostrati, fammi fare un altro passo verso la tua intimità. Quell'intimità a cui anelo. Io so bene quanto lo vuoi. ![]()
La distanza questa volta era molta, ma dopo averti sentito, dopo averti vista, non potevo assolutamente resistere. Era una mia ferma convinzione anche il farti cambiare idea riguardo a quella scarsa considerazione che avevi maturato sulla tua femminilità, quel tuo sentirti poco desiderabile.
Ti avevo scoperto poco a poco e tu con non poca titubanza eri arrivata a scoprirti tutta, ora questo non mi bastava più. Ora dovevo entrare dentro di te. L’idea, la fantasia, non si erano fermate a causa della distanza, anzi, per te avevo pensato a qualcosa di veramente ardito. Studiai velocemente il tratto di autostrada che ci separava e guardai dove si trovavano le stazioni di rifornimento più vicine alle uscite a metà strada. Non fu difficile identificare il posto dove ti avrei chiesto di fare sosta. Tu percorrevi l’autostrada verso sud, io verso nord, ma io sarei uscito e rientrato per seguire il tuo senso di marcia. Ti dissi che avrei parcheggiato nel punto più in disparte del parcheggio, ti dissi il modello di macchina a cui accostare, ti dissi che per riconoscerti avrei osservato se uscivi dalla macchina e ti sistemavi in attesa sul sedile posteriore ad occhi chiusi. L’idea inizialmente non ti entusiasmava, ma la voglia era troppa e avevi ceduto. Giunse il giorno e l’orario stabiliti, e dopo una lunga attesa che mi aveva spinto a pensare di tornare indietro, la tua macchina parcheggiò accanto alla mia. Eri scesa dalla macchina circospetta e avevi provato a buttare un occhio dentro la mia macchina, senza alcun risultato, poi ti eri seduta ad occhi chiusi sul sedile posteriore. L’espressione del tuo volto quando hai udito la portiere della tua macchina aprirsi e richiudersi era qualcosa a metà tra lo stupore e lo spavento. Non sapevo se avrei retto, dopo tutta quella attesa il rischio era che ti saltassi addosso senza rispettare quello che mi ero prefissato, ma resistetti, infilai una mano nella tua camicetta sfiorandoti il seno, mentre ti baciavo il collo. Con un filo di voce vicino all’orecchio ti chiesi: “lo vuoi?”, non riuscisti ad articolare una risposta, così, baciandoti, spostai la mano fra le tue gambe… era evidente che lo volevi. Ti spinsi con la schiena contro lo sportello e divaricai le gambe, era da troppo che volevo assaggiarti, e mentre attingevo dal tuo frutto, stringevo forte i seni, non ci volle molto per sentirti gemere e godere. Ora sentivo l’esigenza di farti sentire quanto ti desideravo, dopo aver dato una veloce occhiata all’esterno per verificare che non ci fosse pubblico nei paraggi, abbassai i pantaloni e mi piantai saldamente fra le tue gambe, ti presi forte, guardandoti in faccia, provasti ad aprire gli occhi un paio di volte ma la mia mano destra finiva col coprirli con grande tempismo. Era meraviglioso vederti godere così tanto, forse ora avresti capito quanto eri desiderabile. Ma volevo essere sicuro che tu lo capissi veramente, così ancora rigido e ancora impaziente di poterti raggiungere nel piacere mi sfilai da dentro di te e mi misi a sedere dicendoti di sederti a tua volta, sopra di me. Mostrando una certa esperienza ti sedesti e cercasti con la mano di riprendermi tra le tue gambe, ma non era lì che volevo andare. Forse non avevi fatto neanche in tempo a capire cosa stavo facendo quando la tua schiena si inarcò con un mugugno strozzato e le mie mani sui fianchi iniziarono a dettare il ritmo. Percepivo che non eri abituata a quel terribile peccato che si chiama sodomia… Presi la tua mano destra e la portai fra le tue gambe… “toccati…” Dallo specchietto retrovisore potevo vedere le tue sopracciglia aggrottarsi, le tue smorfie, chissà, quante volte prima di quel momento ti eri toccata pensando a me… uscito nuovamente da dentro di te e assicurandomi che tu fossi ancora concentrata sul tuo piacere, presi la tua mano sinistra e la portai al mio membro, a cui avevo tolto il preservativo, lo avvicinai alla tua bocca e tu senza tradire alcuna aspettativa con il movimento sussultorio della tua mano provocasti il mio orgasmo. Avevamo goduto, l’uno dell’altro, tanto. Ti ringraziai e ricomposto ti chiesi di non aprire gli occhi finche non avessi sentito la mia macchina partire. E’ troppo bello far perdere la concentrazione alle ballerine di prima fila. Se avessi più occasioni lo farei come hobby. Basta uno sguardo.
Sei molto più bella quando sorridi... ma è quando il tuo sguardo si fa serio e pensieroso che vorrei trascinarti nel letto. Non ti far accompagnare dall'ira, perchè obnubila le tue ottime qualità di scrittrice, e quasi certamente anche quelle di amante. Chissà se ripassi da qui ogni tanto. Chissà se un giorno riuscirò a portarti nella mia dimensione. Per ora, però, non mi pensare. Non cercare di immaginarmi dentro di te, mentre conquisto, centimetro dopo centimetro, spazi e sensazioni regalati dal tuo corpo. Non sei uscita dai miei pensieri. Basta così poco.
Ipnotizzato dal mio specchietto retrovisore… Sono capace di essere vittima anche del mio specchietto retrovisore ad un semaforo. E mentre tu ti difendi da uno degli ultimi raggi di sole che ha deciso di infastidirti, abbassando l’aletta parasole, io non ho potuto fare a meno di notare gli unici dettagli che escono dal tuo parabrezza. I lineamenti del viso, il naso e la bocca. Che bocca strepitosa, avrei voluto tirare il freno a mano e scendere per dirtelo. “Salve, scusi il mio ardire, ma la sua bocca è meravigliosa, e se me lo consente le darei del tu, e un bacio. Ma non un bacio solo per saggiare la consistenza delle labbra. Un bacio per saggiare la consistenza delle labbra, per saggiare il suo sapore e se me lo consente, anche per saggiare la sua capacità di farsi trasportare”. Chissà, avresti chiesto aiuto o mi avresti preso ad ombrellate? Mi piace immaginare che avresti acconsentito. Ma è diventato verde. E’ ora di ripartire. |
Lord PreputioIo sono lo sconosciuto che entra dentro di te. Categorie
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Dicembre 2019
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